Friday, September 30, 2011

Formazione iniziale dei docenti e DM 249

Bijoy M. Trentin

La nuova formazione iniziale dei docenti delineata dal Decreto Ministeriale 10 settembre 2010, n. 249 si inserisce a pieno titolo in una concezione piatta e monocroma dei saperi: quelli disciplinari vengono ridotti essenzialmente al percorso triennale e quelli relativi alle scienze della formazione si limitano a ammantare una preparazione di base ancora non consolidata di fittizi metodi didattici preconfezionati: la cultura non è intesa come processo di ‘costruzione’ personale e sociale ma come prodotto da ricevere e da trasmettere in modo meccanico. Le forme, i tempi e i modi necessari alla formazione di base e di tipo pedagogico-didattico sono ritenuti ininfluenti rispetto ai contenuti e ai contesti: prevale l’idea di cultura da quiz televisivo, che è quella dell’immediato ammassamento e snocciolamento delle nozioni.
Per esempio, il numero di crediti formativi universitari (cfu) che sarà riservato all’elaborazione della tesi nelle lauree magistrali finalizzate alla formazione iniziale dei docenti sarà ridotto in modo considerevole: una concreta esperienza di ricerca deve prevedere un elevato numero di cfu, poiché non può essere improvvisata, e la mancanza di questa esperienza è un elemento fortemente negativo per la preparazione del futuro docente: si intende licealizzare anche le lauree magistrali? Le tabelle si preoccupano essenzialmente di sezionare i saperi in cfu e Settori Scientifico-Disciplinari (SSD), senza dare un senso di unitarietà al percorso formativo: ogni raggruppamento di SSD prevede un numero limitato di cfu, in modo tale che via sia una frantumazione minuta dei corsi e dei saperi, che vi sia una lacerazione tra le parti ‘disciplinari’ e quelle delle ‘scienze della formazione’. Inoltre, ritardare tutto il tirocinio all’anno finale, al TFA, fa venir meno l’interazione tra teoria e prassi, che, invece, nell’insegnamento-apprendimento è fondamentale, imprescindibile: l’elaborazione dei modelli e l’esperienza della quotidianità si sostanziano a vicenda. Ogni aspetto piú vivo e vivace della ricerca e della sperimentazione vengono mortificati per una concezione della formazione dei piú giovani che si accontenta di formare burocrati, compilatori di moduli, misuratori di saperi freddi e anonimi.
I percorsi magistrali appaiono monolitici, sono rigidi, ma non solo perché devono prevedere determinate attività formative professionalizzanti, ma anche perché non si considerano in modo adeguato l’importanza della trasversalità e della transdisciplinarità e soprattutto l’apporto che il singolo e la società hanno nella costruzione dei saperi. Cosí la formazione iniziale del docente è assimilata ai programmi scolastici o agli Obiettivi Specifici di Apprendimento (OSA): ciò che conta, insomma, è prevalemente la quantità. Il bravo docente è – cosí – quello che conosce il programma previsto dal Ministero, che lo sa ripetere diligentemente senza uscire dai binari e che si accerta che venga ricevuto allo stesso modo dagli studenti, che a loro volta devono farsi megafoni di tali saperi: è la negazione dell’importanza non solo della relazione ma anche della riflessione e della metariflessione, che sono le uniche a consentire – invece – la nascita e lo sviluppo di nuovi saperi e di nuovi orizzonti.
Forse proporre un percorso che preveda la laurea triennale e la magistrale disciplinari e un master di un anno per la formazione specifica per la docenza sarebbe piú concreto e realizzabile, relativamente al rispetto dei saperi, dei docenti, e della loro formazione, e dei discenti: il master dovrebbe prevedere dei requisiti di accesso specifici in termini di cfu e SSD, includendo le Didattiche disciplinari o trandisciplinari opportune, quelle intese a far emergere la struttura epistemologica e metodologica delle discipline, quelle che si confrontano con la loro storia e con la loro struttura, con una lente efficace che corregga ogni forma di miopia rispetto a atteggiamenti frettolosi e spontaneisti. Cosí un master specifico che comprenda la parte (1) delle Scienze della formazione, (2) dei laboratori didattici disciplinari e transdisciplinari e (3) del tirocinio (con un numero di cfu minore rispetto a quello indicato nel decreto, effettivamente eccessivo e difficilmente gestibile: 9 cfu per ogni classe di concorso sarebbero piú che sufficienti) consentirebbe un piú intenso e intensivo rapporto tra teoria e prassi, tra discipline (ora realmente possedute con sicurezza anche didattica) e Scienze della formazione, tra ricerca e sperimentazione.
Si dovrebbe, dunque, cercare di delineare un percorso non anfibio, non ambiguo, ma con una caratterizzazione chiara e forte e con una stabilità formativa seria e non effimera. Giustamente, si è soliti dire che non basta conoscere le discipline per saperle insegnare: e anche, veramente, di certo, se le si sa insegnare le si conosce meglio.